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Recensione: Tre Manifesti a Ebbing, Missouri

  • antoniovalentino5
  • 16 mar 2022
  • Tempo di lettura: 3 min

Rotten Tomatoes: 91 %

Voto The House: 8,7

Attualmente disponibile su: Disney +



Tre Manifesti a Ebbing, Missouri è il silenzio disperato e assordante della giustizia perduta.

Martin McDonagh (regista e sceneggiatore degli splendidi “In Bruges” e “7 psicopatici”), sferra uno schiaffo morale all'indifferenza dei tempi moderni.

Il “non tocca a me, ergo non tocca nessuno” è lo spaventoso ritratto del deserto emozionale che circonda i nostri microcosmi, sparuti angoli di vita in vie lattee anemiche e arriviste. Più umiliante ancora è l’abitudine al silenzio e l'inettitudine che portiamo in dote, come fosse una qualità da far notare piuttosto che un disvalore da condannare.

Non ci sarebbe poi tanto da sorprendersi di tale comportamento tutto umano; è solo Dio ad essere monade perfetta, che rappresenta tutti i punti di vista possibili, mentre le monadi create, gli uomini, hanno ciascuna soltanto un punto di vista parziale e microscopico (per non dire invisibile).



Giocare a nascondino. con le azioni e con i segni, è il passatempo preferito delle giornate a Ebbing, In tale orizzonte di piattezza di reazione, si staglia Mildred Hayes (Frances McDormand), la quale pretende (perché chiedere presupporrebbe una aspettativa più che un diritto assoluto che deve essere fatto valere, non per giustizia terrena bensì per quella divina) di conoscere la verità sulla straziante morte (e sul contestuale stupro) della figlia e decide dunque di svegliare la comunità della piccola località del Missouri dalla profonda stasi della comodità di ciò che è sufficiente fare (e non ciò che si deve). La donna farà affiggere tre enormi manifesti che accusano direttamente l’inerzia e la profonda inettitudine sul caso dello sceriffo Bill Willoughby (Woody Harrelson).



Mildred è un John Wayne al femminile, una donna sola in missione; forse non del tutto sola in fin dei conti. Jason Dixon (Sam Rockwell), agente violento, indolente e xenofobo si ergerà, in maniera del tutto inaspettata (ed in ciò è fenomenale la scrittura del personaggio da parte di McDonagh) a demiurgo di speranza per Mildred. Il personaggio interpretato da Sam Rockwell vivrà un evento traumatico. che avrà sulla sua vita la stessa portata innovatrice del battesimo per un neonato. La catarsi del personaggio avviene nel luogo meno ideale possibile: le fiamme dell'inferno. É la morte che crea vita, lo sparo di pistola che tramite il suo rinculo crea speranza di esistente e di orizzonti inimmaginabili. La miseria della vita che si spegne lentamente é sostituita dal desiderio di non deludere i morti. Che strano gioco la vita, fintanto che siamo in tempo proviamo ogni astruso gioco per diventare la versione peggiore di noi stessi; fa specie, dunque, che sia proprio l'ineluttabilità del vuoto a creare vita.

Mentre la McDormand e Woody Harrelson recitano per sottrazione, Rockwell si atteggia ad eccesso, manifestazione esagerata ed entusiastica del male prima e della redenzione poi.



E quando il film si appresta a percorrere le sue battute conclusive, quando la Realtà ci presenta il conto, quando i silenzi si trasformano in sibillina allusione, è lì che ci dimostriamo nella nostra inadeguatezza come uomini. In fondo qual è il valore della verità? Cristallizzare in apollineo il dionisiaco dei possibili punti di vista sui momenti passati? O forse la verità vale tanto quanto una mera bugia consolatoria?


La sensazione è che in Tre Manifesti a Ebbing, Missouri la verità sulla uccisione della ragazza sia custodita come un fuoco dissacrato nelle pieghe di Ebbing, in una maniera tanto intensa quanto inquietante; come se la comunità (che, occorre rammentare, è costituita degli uomini che ne prendono parte) potesse pronunciare una bugia e, allo stesso tempo, commiserare in maniera anatomica la disperazione di chi si trova vicino; siamo catapultati nuovamente a Dogville (Lars Von Trier), a quindici anni di distanza dall'ultima volta. Martin McDonagh, rispetto al regista danese, decide unicamente di lasciare sullo schermo i muri delle case e di non sostituire i mattoni e le vie con un gesso bianco che funge da perimetro immaginario. Nel caso di Dogville l'ipocrisia pervicace fu soppressa dalla portata distruttiva delle fiamme, questa volta potrà mai esistere un epilogo differente?

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